Le crisi nel mondo e nella Chiesa a cinquanta anni dal Concilio

Le crisi nel mondo e nella Chiesa
a cinquanta anni dal Concilio

In questo documento i promotori della “Lettera alla Chiesa fiorentina” presentano una sintesi sommaria delle riflessioni elaborate dal 2007 al 2011, sviluppate in documenti scritti ed espresse in alcuni incontri pubblici. Il documento rappresenta anche il contributo alle varie iniziative realizzate e in via di attuazione in Italia per i 50 dall’inizio del Concilio ecumenico Vaticano II e in particolare al prossimo convegno nazionale promosso dalla rete dei “Viandanti”, per una Lettera alla Chiesa in Italia.

I segni dei tempi: ombre e luci
I segni dei tempi attuali sono di carattere ambivalente. Citiamo solo alcuni problemi rilevanti che richiedono discernimento.
La globalizzazione comporta varie possibilità di sviluppo, a cui però si accompagnano fenomeni di sfruttamento di ambienti, di persone e del loro lavoro, di distribuzione ineguale di ricchezze e quindi di aumento di povertà, disoccupazione, ingiustizie.
La finanziarizzazione dell’economia, il potere dei mercati, e la sudditanza ad essi della politica, generano forme di vera e propria idolatria del denaro che non considerano la dignità delle persone, riducendole a mezzi.
Lo sviluppo industriale pone il problema del rapporto tra attività umane e sostenibilità ambientale. Non si possono dimenticare inoltre le spese notevoli per armamenti in molti casi venduti dai paesi più ricchi del nord del mondo.
Si possono però notare alcuni segni di novità positiva come la più diffusa sensibilità per la libertà di coscienza e di espressione, la richiesta diffusa di equità nella ripartizione delle risorse e forme di cooperazione per il superamento del sottosviluppo e la lotta alla fame, alle malattie, alla miseria, la difesa della dignità delle donne e dei bambini, le presenza di movimenti per la pace e per i diritti umani, la crescente ricerca di strategie non violente, la crescita di atteggiamenti condivisi relativi al pluralismo etnico, culturale e religioso, le proposte per un cambiamento di rotta nello sviluppo in direzione della sostenibilità ambientale e di forme di decrescita positiva.
Nella Chiesa cattolica si nota in Occidente, il diffondersi di situazioni di disagio di fronte alla incapacità ecclesiastica di rispondere secondo lo spirito del Vangelo ai segni dei tempi e alla difficoltà a realizzare, con un positivo confronto tra pastori e fedeli, atteggiamenti e pratiche di ascolto, sinodalità e corresponsabilità come frutto e sviluppo del Concilio.
Sono ancora flebili le voci che vengono dalla gerarchia ecclesiastica nei confronti delle ingiustizie e delle ineguaglianze economiche e sociali. In molti casi l’annuncio cristiano pare configurarsi come una morale parziale in cui i cosiddetti “valori non negoziabili” si riducono a problemi di bioetica se non di morale sessuale, oppure a ripetere richiami dottrinali e morali in cui manca la dimensione profetica.
Sono presenti però in tutto il mondo esperienze vive di comunità, di chiese locali, di gruppi, di persone (cristiani, preti, religiosi, religiose, vescovi) che cercano di testimoniare il Vangelo e si impegnano per un mondo più giusto e pacifico e per la promozione dei più deboli anche con rischio e sacrificio, in certi casi della vita stessa e cercano di costruire una vita di Chiesa come comunità in cui sia sottolineata la comune dignità battesimale.

Le crisi e le parole che ci mancano
Ci sembra che soprattutto nel nostro paese la Chiesa e i cristiani non abbiano parole per pronunciarsi secondo il Vangelo di fronte ai problemi emergenti. Auspichiamo che i pastori e i cristiani si esprimano con franchezza, in particolare nei riguardi delle ingiustizie (a livello locale e planetario) e dei rapporti tra chi è debole e chi detiene il potere, considerando che la responsabilità dell’annuncio del Vangelo richiede veracità e che il parlare e l’agire della Chiesa deve riconoscere e favorire la libertà e la promozione delle persone.
Riteniamo necessario nella Chiesa, il confronto libero tra le diversità esistenti: la libertà di pensiero deve essere accettata senza emarginazioni, avendo presente che l’obbedienza, in vari casi, non è una virtù. Nella Chiesa locale vorremmo che il ministero della sintesi e della guida da parte del vescovo non prescindesse dall’ascolto delle diverse esperienze.
Pensiamo che la libertà di espressione e la presenza di un’opinione pubblica nella Chiesa non comprometterebbe affatto il magistero dei Vescovi, che comunque dovrebbero accettare di essere discussi quando gli interventi non trattino di ciò che è essenziale per la fede e la fedeltà al Vangelo.
Dovremmo riprendere con energia le indicazioni del Concilio che ha costituito per la Chiesa cattolica un tornante essenziale per riconoscere l’azione dello Spirito che soffia dove vuole e agisce nella Chiesa e nel mondo. In realtà, a cinquanta anni da quell’evento straordinario, molte delle indicazioni conciliari sono rimaste inattuate.

Riprendere il Concilio
Le fondamentali costituzioni del Concilio mettono in evidenza la comune dignità e responsabilità di tutti i cristiani fondata sul battesimo, l’ascolto della Parola, la dimensione comunitaria della Chiesa a partire dalla vita liturgica, il valore della collegialità tra i pastori, il rispetto della pluralità delle scelte, l’ascolto reciproco tra pastori e fedeli.
Occorre impegnarsi perché le comunità cristiane nel territorio, si manifestino come ambiti in cui si vive il primato del Vangelo e l’eucaristia in un clima di accoglienza e solida-rietà, con una evangelizzazione e catechesi conseguenti.
Il Concilio ha proclamato la Chiesa aperta alle gioie e alle speranze, alle tristezze e alle angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto (cf. Gaudium et spes n° 1) e non chiusa in se stessa o contrapposta al mondo: una Chiesa portatrice di pace e di speranza, una Chiesa comunità di comunità; una Chiesa che sceglie la parte dei poveri e degli oppressi.
La scelta dei poveri sempre affermata, viene spesso contraddetta da un effettivo rapporto di settori influenti delle gerarchie ecclesiastiche con forme di potere politico ed economico della società. Da ciò appare una Chiesa che spesso esprime una carità di tipo assistenzialistico, che al massimo può alleviare le sofferenze dei poveri grazie al denaro dei ricchi ma che non può condividere con loro una prospettiva di dignità e di giustizia.
Consideriamo importante la distinzione tra ciò che è essenziale, cioè l’annuncio e la sequela del Vangelo di Gesù Cristo crocifisso e risorto e certe espressioni storicamente condizionate di interpretazione del cristianesimo, le quali in vari casi, tendono a sovrapporsi all’annuncio e persino ad oscurarlo.
L’autonomia delle realtà temporali e il conseguente impegno dei laici in merito sono spesso contraddette da interventi di alcuni esponenti della gerarchia ecclesiastica che pretendono o credono di rappresentare tutti i cristiani. Si corre così il rischio di far apparire la Chiesa come un soggetto politico che vuole affermare il proprio potere, anche riferendosi a un’autorità divina.
Ricordiamo che Gaudium et spes attribuisce la responsabilità di atteggiamenti antireligiosi o atei anche alla responsabilità dei cristiani (cf.n°19 c) ed aggiunge che “anzi la Chiesa confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire perfino a motivo della opposizione di quanti la avversano o la perseguitano” (n°44 c).
Riteniamo che il servizio di pastori nella Chiesa abbia il pieno diritto di segnalare i rischi insiti in vari aspetti della cultura, dell’antropologia, della prassi contemporanee, poiché i segni dei tempi rivestono sempre aspetti ambivalenti.
In ogni caso occorre porsi: un problema di metodo,che riguarda le modalità di rapporto, di ascolto e di dialogo con la comunità cristiana e successivamente l’intervento autorevole; un problema di atteggiamento e di linguaggio, che a indicazioni calate dall’alto con precise consegne, preferisca proposte di valori, affidando alla responsabilità dei laici l’autonomia delle mediazioni per le scelte politiche e legislative.
Si chiede quindi di realizzare un discernimento costruttivo, nel solco delle linee portanti del Concilio, nei confronti delle realtà umane e dei segni dei tempi, in cui sono presenti aspetti problematici, travagliati, critici e criticabili, ma anche motivi sinceri e potenzialmente positivi.
Auspichiamo che la proposta di dottrine e indicazioni morali si attui attraverso un dialogo con i tempi attuali, col nuovo stato di cose, con le nuove forme di vita, per giungere verso nuovi orizzonti dischiusi all’apostolato, e secondo l’indole pastorale del magistero, utilizzando la medicina della misericordia piuttosto che le armi della condanna, in modo da dire al genere umano sofferente, come Pietro al mendicante: “Argento e oro non posseggo, ma quello che ho te lo dono: nel nome di Gesù Cristo alzati e cammina!” (cf. Giovanni XXIII, Discorso di apertura del Concilio, 11 Ottobre 1962). In tale prospettiva considerare che il progresso delle scienze, i tesori nascosti nelle varie forme di cultura umana svelano più appieno la natura stessa dell’uomo e aprono nuove vie verso la verità e tutto ciò è di vantaggio anche per la Chiesa (cf. Gaudium et Spes ,n° 44 b).
In tale cammino di discernimento, che riguarda in modo speciale la comune ragione umana crediamo che gli interventi dei pastori dovrebbero tenere particolarmente in conto la competenza e l’esperienza dei laici credenti, che hanno il diritto/dovere di far cono-scere il proprio parere, su aspetti che toccano la vita della Chiesa (cf. Lumen Gentium n°37 a) e della società. e anche dei laici non credenti (se possono offrire indicazioni ragionevoli e razionali di carattere scientifico sui temi in discussione).
Da notare infine che la Costituzione conciliare Gaudium et spes richiama nei paragrafi finali il valore del dialogo sia all’interno della Chiesa sia tra credenti e non credenti per lavorare insieme alla costruzione del mondo nella vera pace (cf. n° 92), auspicando l’unione dei credenti con tutti coloro che amano e cercano la giustizia per il compito immenso da adempiere su questa terra (cf. n° 93 e anche n° 57).

A 50 anni dal Concilio, a 20 anni dal Sinodo diocesano
Quest’anno ricorre anche il ventennale della conclusione del Sinodo diocesano fiorentino, durante il quale “la Chiesa fiorentina ha progressivamente fatto propria l’immagine di Chiesa delineata dal Concilio Vaticano II”. Dal 1988 al 1992 la Chiesa fiorentina ha vissuto un periodo significativo di riflessione, di “revisione di vita”, dialogo, partecipazione e di importanti momenti di attenzione e confronto con le altre Chiese cristiane, l’ebraismo, le altre religioni, la città nelle sue varie espressioni, gli stessi non credenti. Dei quattro anni di lavoro sinodale vogliamo sottolineare la scelta metodologica, che non costituisce solamente un aspetto tecnico, ma risulta strettamente collegata all’ascolto della comunità cristiana nei suoi vari aspetti e quindi alla scelta delle tematiche, in una prospettiva di sinodalità permanente che si configura come lo strumento più idoneo per avviarsi verso quella ecclesiologia di comunione, comunque sempre da conquistare e confermare, che costituì l’obiettivo centrale del Sinodo.
Infatti una delle preoccupazioni caratterizzanti è stata la volontà di permettere a tutte le esperienze e le voci della Chiesa fiorentina di essere presenti e di poter loro offrire la possibilità di intervenire attraverso i gruppi sinodali del territorio presenti nelle parrocchie, nei gruppi, nelle associazioni, presso famiglie, circoli associativi, ecc., che videro, accanto alla presenza dei cattolici, anche la partecipazione di persone di altra provenienza.
Il metodo di lavoro riprese quello nato negli anni 40 dalla JOC e poi fatto proprio dalle comunità ecclesiali di base latino-americane e suddiviso nelle tre fasi del “vedere”,del “giudicare/discernere”, del “decidere”.
Nella fase del “vedere” gli ambiti di ricerca e le scelte ecclesiali da compiere non furono predeterminate, ma furono indirizzate a conoscere le condizioni di vita della Chiesa e la situazione socio culturale e religiosa dei fiorentini, con la finalità di “evidenziare fedeltà e infedeltà al progetto che Dio ha posto“ sulla Chiesa fiorentina.
Nel Documento conclusivo veniva definito il progetto di evangelizzazione “aperto alla condivisione, all’ascolto alla vita dell’uomo di oggi”, vissuto come itinerario di tutta la Chiesa locale, con una pedagogia del dialogo e del confronto, attuato con mezzi e strutture comunitarie. Indicava per una nuova evangelizzazione e per l’attuazione di “una profezia della comunità” le conversioni necessarie:
da una Chiesa centrata su se stessa a una Chiesa al servizio del Regno;
dalla sacramentalizzazione al primato dell’evangelizzazione;
dal clericalismo alla corresponsabilità di tutti i battezzati;
dall’individualismo ad una pastorale organica;
dall’improvvisazione pastorale alla progettualità,
dall’attivismo alla sapienza della croce. (cf. n°118)
Riteniamo quella esperienza, che dopo la conclusione dell’episcopato del card. Piovanelli, sembra messa nel dimenticatoio, un tentativo concreto, possibile, reale di applicazione del Concilio nella realtà locale, che vorremmo vedere ripresa e continuata, come stile sinodale nelle varie comunità ecclesiali.






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